Si dichiarano interamente in successione conti correnti intestati unicamente al de cuius, stipendi maturati e quote versate come socio su libretto, seppur tra i coniugi vige il regime di comunione legale dei beni, salva la dimostrazione dei presupposti per applicare la comunione legale differita (Agenzia delle entrate – Risposta 01 agosto 2022, n. 398).
Il contribuente dichiara che in data 5 giugno 2021 è deceduto il coniuge in regime di comunione legale dei beni, con conseguente apertura della successione, nella quale rientrano i seguenti beni di titolarità del de cuius:
– c/c n. radicato presso la banca;
– stipendi maturati ed indennità per ferie e permessi non goduti non riscossi ;
– quote versate come socio prestatore sul libretto, produttive di interessi.
Al riguardo, l’istante chiede di sapere se rientri in successione “il valore corrispondente al 50% dei beni sopra indicati”.
Il regime legale dei rapporti patrimoniali tra i coniugi, in mancanza di diversa convenzione stipulata ai sensi dell’articolo 162 del codice civile, è costituito dalla comunione dei beni che implica prevalentemente la contitolarità e cogestione dei beni acquistati, anche separatamente, in costanza di matrimonio e le aziende gestite da entrambi e costituite dopo le nozze.
Con riguardo alla fattispecie del conto corrente intestato al solo de cuius in regime di comunione legale del beni, nella circolare n. 53 del 6 dicembre 1989 è stato precisato che non può ritenersi facente parte della comunione legale e, conseguentemente, cadere in successione, soltanto la metà della somma depositata in conto corrente (cioè la quota corrispondente al 50% del saldo del conto corrente esistente alla data della morte del coniuge intestatario), ma l’intero importo del conto corrente.
La tesi secondo cui anche i diritti di credito derivanti da deposito bancario formerebbero oggetto della comunione legale c.d. “de residuo” – e quindi già nella titolarità al 50% del coniuge superstite iure proprio – si fonda sul presupposto che le somme di cui trattasi siano riferibili specificamente ed esclusivamente a frutti di beni personali o a proventi dell’attività separata di uno dei coniugi, che si trovino ad essere non consumati al momento dello scioglimento della comunione (per effetto del decesso del coniuge).
La stessa circolare precisa che “fino a dimostrazione contraria (la quale, peraltro, ben difficilmente potrebbe presentare i requisiti di certezza idonei) non possa superarsi l’apparenza della situazione giuridica creata con l’intestazione del deposito ad uno solo dei coniugi”.
Non appare in contrasto con tali conclusioni quanto statuito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 4393 del 2011 relativa alla possibilità di ricondurre nella comunione ai sensi dell’articolo 177 del c.c. anche i crediti.
Al riguardo, i giudici di legittimità hanno statuito che anche il saldo attivo di un conto corrente bancario, intestato, in regime di comunione legale dei beni, soltanto ad uno dei coniugi, e nel quale siano affluiti proventi dell’attività svolta dallo stesso, deve considerarsi facente parte della comunione legale dei beni al momento del decesso dell’intestatario stesso, con la precisazione che “lo scioglimento attribuisce al coniuge superstite il diritto al riconoscimento di una contitolarità propria sulla comunione e, attesa la presunzione di parità delle quote, un diritto proprio, e non ereditario, sulla metà dei frutti e dei proventi residui, persino anche nelle ipotesi in cui essi fossero stati esclusivi del coniuge defunto”.
L’Agenzia ritiene, quindi, che debba costituire oggetto di dichiarazione ai fini dell’imposta di successione l’intero importo del saldo del conto corrente intestato al de cuius, fatta salva la dimostrazione da parte del contribuente che sussistono i presupposti per applicare il regime della comunione legale differita.
Analoghe considerazioni valgono anche per il libretto.
Per quanto riguarda, infine, le somme e i valori maturati dal de cuius, ma non ancora liquidati al momento decesso (quali quelli indicati in istanza come stipendi maturati ed indennità per ferie e permessi non goduti e non riscossi dal de cuius) si ritiene che anch’essi sono da ricomprendere fra i beni caduti in successione e, come tali, da ricomprendere nell’attivo ereditario ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni.
Per le suesposte considerazioni, tali somme potrebbero confluire nella comunione “de residuo” in quanto non consumati.